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domenica, Dicembre 8, 2024

Tutti i colori del Myanmar tra pagode, stupe e palafitte

di Germana Cabrelle

Un turista, in Myanmar, può fare acquisti ancor prima di scendere dal bus che lo porta a visitare le pagode. Dietro ai finestrini, mentre il pullman parcheggia, ci sono frotte di giovani donne e uomini che esibiscono la mercanzia: aprono i caratteristici longyi per mostrare l’assortimento di misure e colori, srotolano encausti con immagini del Budhha, schiudono scatoline di lacca impilate una dentro l’altra, mostrano rubini incartati nelle veline. Col labiale scandiscono il prezzo di ogni oggetto e una volta scesi dal predellino cominciano le contrattazioni tra gli schiamazzi e le suppliche. Hai voglia a sgolarti e dire “Dopo”: qualcosa inevitabilmente compri subito e spesso un italiano comincia da una insolita edizione di Giorni in Birmania di George Orwell, una specie di fake Oscarmondadori scritto tutto attaccato, con più di un refuso in copertina e rilegate fotocopie di un bianco disomogeneo.

Fa sorridere e tiene compagnia, durante la permanenza in Myanmar, quel libro artigianale dall’aspetto familiare che racconta l’esperienza di Orwell in Birmania quando era membro della polizia coloniale britannica nell’Indocina degli anni Venti. Sorprende il Mynamar e non solo per la gente dolce dal sorriso contagioso che incontri, per i monaci in tunica amaranto che salutano miti, per le stupe immense e bianchissime che sembrano decorate con la sac-a-poche, ma per tutto l’oro che ha e che mostra. Oro che comincia a veli sottilissimi di mezzo grammo da stendere per devozione sulle stupe dentro ai luoghi sacri. Oro che continua svettante sulle pagode disseminate nella capitale Yangon come a Bagan e a Mandalay. Oro che nel tardo pomeriggio si stempera nel cielo e diventa tutt’uno coi tramonti rosso fuoco fino a trasformarsi, a Inle, in un lago dorato.

DALLA PAGODA SHWEDAGON A YANGON
Sfiora i 100 metri di altezza (98 per l’esattezza) e si racconta che abbia 2500 anni. Vero è che domina imponente la città e che è la pagoda buddista più sacra per i birmani in quanto contiene reliquie dei quattro Buddha. Vederla di giorno è un’emozione unica, perché rimanda all’occhio e all’obiettivo fotografico tutti i suoi riflessi abbacinanti e preziosi; visitarla di sera è una sorpresa ancor più grande perché si mischiano nella suggestione mistica il fuoco delle candele, il fumo dell’incenso, la grande devozione spirituale che continua incessante a tutte le ore, con venditori di fiori da deporre davanti alle immagini sacre che a volte si moltiplicano in stanze con specchi. Si entra scalzi, depositando le scarpe all’ingresso e indossando un longyi sopra i jeans.

SORVOLANDO LA VALLE DEI TEMPLI DI BAGAN
E’ conosciuta anche col nome di terra del rame, per il colore rossastro che caratterizza le sue zolle dove è consuetudine vedere contadini impegnati nelle operazioni di aratura con rudimentali vomeri trainati da buoi. Il sito archeologico presenta 4400 stupe buddiste, fra ben conservate e in rovina, che si possono ammirare nella loro compiutezza dall’alto, spuntare come funghi, con un volo in mongolfiera al costo di 280 dollari. Superlativa lo Shwezigon Paya, lo stupa dorato che si è ispirato, per fattezze, a quello di Yangon ma con una base decorata con smalti e disegni che narrano le vite passate del budhha. Di Bagan Tiziano Terzani scrisse: “E’ uno di quei luoghi ti rende fiero di appartenere alla razza umana”.

PASSANDO PER IL PONTE U BEIN IN LEGNO DI TEAK
Ad Amarapura è imperdibile una passeggiata – meglio se all’alba o al tramonto quando il cielo assume il colore rosa – sul ponte pedonale U Bein, diventato anch’esso, come le stupe e i pescatori del lago Inle, un simbolo emblematico della Birmania. E’ uno stretto pontile di 1 chilometro e 200 metri realizzato interamente in legno di teak per unire due villaggi sul lago Taungthaman ed è bellissimo da fotografare sia da sopra che da sotto. Percorrendolo si incontrano, oltre che venditori ambulanti e slarghi coperti dove poter sostare all’ombra durante il giorno, anche un paio di locali terrazzati proprio in prossimità dell’acqua, spesso frequentati anche anche monaci. Per una sosta ristoratrice in piena meditazione.

PER APPRODARE AL LAGO INLE COL VILLAGGIO GALLEGGIANTE
C’è vita che pullula sulla superficie delle acque del lago Inle: una vita essenziale ma che tuttavia gode dell’attenzione del mondo intero. Ci sono pescatori sollevati su una gamba che ruotano col remo sopra la barca come in una danza, tenendo anche una rete conica come un canestro. Posano davanti ai turisti e poi si avvicinano per raccogliere le mance in Kyat, dollari o euro. Ci sono barche strette e roboanti che sfrecciano tra i verdissimi orti galleggianti, accompagnando i visitatori da una parte all’altra del lago.

Ci sono palafitte con ristoranti, mercati coperti e laboratori artigianali. Ci sono scuole raggiungibili solo dall’acqua come pure l’ufficio postale. Qui è famosa la manifattura dei sigari ma anche e soprattutto la tessitura della fibra ricavata dai gambi dei fiori di loto, considerato attualmente il filato più raro e costoso al mondo tanto che l’azienda leader del cachemire, Loro Piana, ha avviato un business commerciale con le donne del lago Inle per confezionare preziosissimi capi d’abbigliamento.

Articolo pubblicato al link: https://www.ilsole24ore.com/art/viaggi/2018-11-06/tutti-colori-myanmar-pagode-stupe-e-palafitte–140251.shtml?uuid=AE8FGybG

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