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Cina: dallo skyline di Shanghai alla magia di Xi’an tra passato e modernità

testo e foto di Elena Pizzetti

I grattacieli di Pudong, la movida e l’Esercito di Terracotta. La Cina
del progresso e della tradizione con un occhio ben strizzato all’Occidente

Ambiziosa, vivace, stupefacente, Shanghai, 26 milioni di abitanti e il maggiore porto commerciale al mondo, è un’alternarsi di situazioni che viaggiano veloci (come il suo treno a lievitazione magnetica, che tocca i 500 km/h e collega la città all’aeroporto internazionale) tra passato e futuro, tanto che qui il presente è sempre già superato. Lo esemplifica il Bund, che costeggia il fiume Huangpu, con i suoi edifici Art Déco, vestigia di una globalizzazione ante litteram che diede alla città negli anni ’30 l’appellativo di “Parigi d’Oriente”, durante il periodo delle concessioni straniere (1845-1941). Scampoli di atmosfere nostalgiche anteguerra sopravvivono allo storico Fairmont Peace Hotel, sulle note notturne dell’orchestra jazz, mentre la mondanità si consuma nei bar dell’elegante Xintiandi o al Bar Rouge, al 7f del Bund, con vista strepitosa sullo skyline. Di fronte, bucano il cielo fuligginoso i grattacieli di Pudong (un’area di 500 kmq grande quanto Singapore) dove sta per essere ultimata la Shanghai Tower, il secondo grattacielo più alto al mondo (632 m). Per ammirarli, molto suggestiva la crociera notturna, ma si consiglia anche l’ascesa sulla Oriental Pearl TV Tower.

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Lo shopping delle firme internazionali lungo via Nanjing, la prima strada costruita dagli inglesi, mentre la contemplazione dell’immobilità e del silenzio è nel giardino Yu Yuan di epoca Ming, terminato nel 1577 dopo 18 anni di lavori. Quasi “tormentato”, senza percorsi rettilinei ma serpeggianti, invita a sentire la forza di un fiore o l’arrendevolezza di un ramo che cede alla carezza del vento. Pietre calcaree torturate dalle acque, dalle forme singolari, prese dai fondali dei laghi per formare montagne in miniatura che sfidano le leggi dell’equilibrio ed evocano nuvole in volo o animali mitologici. I padiglioni hanno sempre le soglie alte per intimorire gli spiriti maligni che in Cina non sanno scavalcare e procedere in modo obliquo. Da provare, un tempo parte dei giardini, la Tea House Huxinting, e i ravioli cotti al vapore con ripieno di polpa di granchio del vicino ristorante Nanxiang. Scorre l’eleganza nel quartiere francese con la via della moda internazionale Huai hai e il Museo delle arti e dei Mestieri, ex dimora del comandante della concessione, con giade, ricami e straordinari calamai in pietra. Avveniristico l’Urban Planning Exhibition Hall in Piazza del Popolo, mentre nell’area dell’EXPO 2010, i padiglioni più visitati sono stati mantenuti e quello francese di Jacques Ferrier divenuto museo di arte contemporanea (Misheng21, www.21msms.com). Di nuovo a ritroso nel tempo a Tian Zi Fang, nella concessione francese, quartiere anni ’30 di artisti e piccoli locali con le classiche case Shikumen che mixano oriente e occidente, dove un tempo vivevano i cinesi che si rifugiavano nelle concessioni per sfuggire alle incursioni giapponesi.

La megalomania che conquista il cielo non è altro che il continuum di quella che millenni fa conquistava il sottosuolo per un sereno aldilà. E’ l’esercito di terracotta a Lintong, 35 km dall’antica capitale di Xi’an, culla della civiltà cinese e punto di partenza della via della Seta, voluto dall’imperatore Qin Shi Huan che unificò la Cina nel 221 aC e riprodusse l’esercito per sua difesa eterna. 7.400 guerrieri abbigliati diversamente secondo i ranghi (e alti da 1,76 a 1,93 cm) dalla forza impressionante, realizzati da 700.000 operai, con arcieri, cavalli, oltre 130 carri in legno e ferro e perfino acrobati, schierati lungo diversi fossati e, un tempo, interrati. La scoperta nel ‘75 da parte di alcuni contadini tra i quali Yang Ji De, 67 anni, che trovate ancora nel negozio intento ad autografare i libri.

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Xi’an: un milione di studenti, con le sue antiche mura Ming di 12 m di altezza percorribili a piedi o in biciletta; la porta della campana che suonava all’alba e del tamburo che annunciava il calare delle tenebre; l’elegante Grande Pagoda dell’Oca Selvatica, e un quartiere straordinario, quello islamico della comunità Hui (80.000 persone), colorato e lindo, con tanto gustoso street food. A proposito: una specialità di Xi’ang sono gli Jianzi, i ravioli salati, piccanti o agrodolci, da assaggiare al Defachang Dumpling Restaurant.

Info: www.turismocinese.it.

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Articolo pubblicato su Il Giornale il 26 maggio 2015

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