Outback nel Northern Territory per avvicinarsi al Sogno degli aborigeni australiani tra gallerie d’arte di roccia e miti immersi nel bush
“Charlie ma a lei non danno fastidio le zanzare?” “No, sono mie amiche perché vivono sulla mia terra”. Chi domanda è una giovane avvocato di Sidney oggi chef del Davidson’s Safari Lodge ad Arnhemland (www.arnhemland-safaris.com) , nel Top End, cuore aborigeno del Northern Territory. E come tutti i cuori che si rispettano, non di facile accesso. Una “balanda” quindi, secondo la lingua aborigena. A rispondere c’è Charlie Mangulda, proprietario delle terre della montagna di Borradaile. E’ lui l’uomo che oggi, grazie a questo lodge e alle sue guide, ci concede di avere accesso a un “sistema” di gallerie d’arte (alcune abitate fino al secolo scorso) che da 50.000 anni raccontano le vicende del Dreamtime, il “Tempo del sogno” aborigeno: una dimensione che riguarda la creazione di ogni essere o cosa ma che non risiede in un “passato storico”, bensì in una dimensione parallela che gli aborigeni raggiungono attraverso il sogno. E il”sogno” è il filo conduttore di un viaggio nei Northern Territory. In primo luogo per la dimensione introspettiva che l’incontro con una natura così selvaggia scatena. Si deve entrare nel bush, con tutto il suo bagaglio di cibo e di medicine naturali, di ricchezza e di pericoli. Dalle rane velenose agli insetti, passando per il salty cocrodile, il rettile più grande al mondo, che arriva a misurare 7 m e risale gli estuari per centinaia di km durante la stagione secca o la crab’s eye, una bacca rossa velenosissima. E di fronte a tanta ferocia l’eleganza del Jaibiru, cicogna endemica, o lo spettacolo messo in scena della foresta pluviale che si riflette, vanitosissima, sull’acqua dei billabong, i rami dei fiumi, lungo i quali minuscole barche scivolano come sull’olio dorato la sera, l’emozione di camminare sulle rocce d’arenaria più antiche della terra (1,6 miliardi di anni). Senza contare la bontà del Barramundi, pesce di acqua dolce, della billygoat plume, bacca che apporta 50 volte la vitamina C di un’arancia, la magia del Red Ash, pianta che strofinata diventa sapone, i milleusi del Paper back, o il gusto delle patate del bush e delle formiche verdi che, secondo alcuni europei coraggiosi, sanno di menta. E le migliaia di eucalpiti ombrosi, di acacie (simbolo d’Australia) e di uccelli, di ogni dimensione, che ad agosto si asserrano nella Arnhem Land in cerca di acqua. Un mondo che è sempre stato rispettato dai suoi primi abitanti, gli aborigeni. “Un frutto raccolto significa un frutto lasciato per gli animali e uno per la terra” spiega Bridget, guida che sa raccontare la vita del bush in ogni sua piega. Perché, a dispetto delle sue trecce bionde, ne è parte istintivamente prima ancora che culturalmente. Un senso di appartenenza che cerca di trasferirci. Il sogno ci cattura di fronte al più grande “Rainbow Serpent” d’Australia, incrocio tra un drago e un serpente, dipinto 1500 anni fa, principio della creazione, sulla parete “a soffitto” di una grotta. Ocra e bianco che si insinuano nella roccia come il tempo sulla pelle. Siamo in un luogo sacro che è porta d’ingresso al Tempo del Sogno. E questa dimensione, così esclusiva e intimistica, è il regalo che Arnhem Land ci lascia con le sue notti stellate dove è facile trovare la Stella del Sud. Da una pista sterrata nel bush decollo alla volta di Kakadu National Park. Nel bush qualche segno occidentale: percorsi guidati e didattici, passerelle, camere con aria condizionata (molto confortevole il Wildman Wilderness Lodge www.wildmanwildernesslodge.com.au). Poi ci lasciamo catturare dalle spiegazioni dettagliate del Warradjan Cultural Center sulla cultura aborigena e dalla potenza di Ubirr, rilievo che trasporta sul tetto del cielo e ricorda Uluru, montagna sacra, 3000 km più a sud. Una didattica crociera all’alba ci permette di fotografare meglio una miriade di creature e poi via lungo un nastro asfaltato, che per 300 km non incontra casa o paese ma solo bush ininterrotto con i segni degli incendi a patchwork che da secoli vengono appiccati per rigenerare il terreno e giganteschi termitai, quelli magnetici orientati a sud-ovest per mantenere costante la temperatura di 34C°, preziosi forzieri di ferro per le donne aborigene in dolce attesa. L’unico diversivo è offerto dagli autotreni da superare, serpenti meccanici con tre rimorchi che arrivano a misurare anche 55 m. Sosta alla città mineraria di Pine Creek che mostra orgogliosa la sua ferrovia storica, aperta nel 1880 e chiusa nel 1976, con la locomotiva più antica d’Australia e arrivo alla cittadina St Katherine. Nel parco di Nitmiluk- Katherine Gorge, gestito interamente dalla popolazione aborigena Jawoyn, si va alla scoperta delle 13 gorge: profondi canyon paralleli scavati dal fiume Katherine, tre dei quali percorribili in barca, che creano un “sistema” scenografico di grande impatto. Nuovissimo e raffinato il Cicada Lodge: 18 camere proiettate nell’outback, con tocchi di arte aborigena, piscina e ottimo ristorante (fantastici gli aperitivi). Proprietà aborigena e standard di alto livello, con la possibilità di incontrare la popolazione locale che mostra alcuni saperi antichissimi come la pittura, la nascita di un didjerido, strumento musicale in legno, di un boomerang o di un cesto realizzato con le foglie del Pandanus colorate con frutti e radici (50 ore di lavoro), un osso di canguro come ago e la sand palm come filo di nylon. In auto si raggiunge Darwin, il capoluogo del NT, porta sul bush australiano da dove siamo partiti. E’ il capolinea della Stuart Highway, la strada che porta a sud verso Alice Springs e da lì ad Adelaide e del Ghan, la ferrovia che segue lo stesso itinerario. Da non perdere l’elegante Char Restaurant (www.chardarwin.com.au) e le gallerie d’arte aborigena. Singapore Airlines (www.singaporeair.com) ci accompagna in Italia via Singapore. “Dimenticatevi di me e non nominatemi, altrimenti non sarò mai libero di essere spirito” raccomandano gli aborigeni prima di morire. Ma la loro terra sarà impossibile da dimenticare. Info sul Paese: www.australiasoutback.it.
Articolo pubblicato su Il Giornale il 7 agosto 2013
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