testo e foto di elena Pizzetti
Un arcipelago all’incrocio tra America, Africa ed Europa e un’isola dove il vento disegna dune e onde. A Sal una natura da vivere in ogni stagione
E’ il vento la cifra naturale di Sal, 65 km di coste sferzate dall’aliseo di nord-est che allunga l’onda e disegna sulle spiagge di sabbia trasportata dal Shara un perpetuo gioco di dune. E’ l’Aliseo che fa volare i campioni di kitesurf, ragazzi – libellula dalle vele colorate, equilibristi del vento e dell’onda. Si incrociano in questo loro continuo sfrecciare, colorando il cielo con le vele. Alcuni famosi come Mitu Monteiro, campione del mondo capoverdiano, Airton Cozzolino, già campione a 17 anni, figlio adottivo dell’italiano Libero Cozzolino, che a Sal ha fondato la scuola Tribal Surf. I kitesurfer vengono da ogni angolo del mondo e val la pena andare a Kite-Beach per vederli volare sulle onde o a Ponta Preta, vicinissima a Santa Maria sulla costa meridionale, spiaggia mossa da morbide dune.
Una natura senza mezze misure quella di Sal, modellata dall’Oceano e dalla sabbia con l’orchestra del vento. Energica sul mare e austera sulla terra, dove piove troppo raramente. Come austera è la storia di questo popolo che ha sofferto la schiavitù e la colonizzazione portoghese, terminata solo nel 1975, e dove oggi lo stipendio minimo si aggira sui 100 euro. A Espargos (la capitale dell’isola), Candida, 84 anni, davanti al suo banchetto dove espone ibiscus essicato e farina di Baobab, racconta, con una sorprendente pace negli occhi, di quando lavorava come “schiava” nel 1955 in Guinea Bissau nelle piantagioni di caffè e di cocco. Le chiediamo una benedizione: un bel gesto che gli anziani capoverdiani elargiscono, appoggiando la mano sulla fronte del richiedente.
L’isola deve il suo nome attuale al sale (prima era chiamata Llana, piatta) il cui regno era a Pedra do Lume: un antico cratere dove si trovavano le saline oggi dismesse che in passato hanno rappresentato il fulcro dell’economia dell’isola. E’ un paesaggio marziano, dove si può fare uno scrub e poi galleggiare nell’acqua salata di uno degli stagni.
Altre attrazioni turistiche sono la Baia degli squali, dove si possono vedere gli squali limone che fortunatamente sono interessati solo ai pesci, e l’Occhio Blu, a Buracona, un lungo foro nella roccia che a mezzogiorno riflette la luce. Da vedere anche il colorato paesino di Palmeira, dove sul molo ci sono spesso pescatori intenti a pulire il pescato.
I Capoverdiani sono giovani (il 63% ha meno di 23 anni), sorridenti e musicali: ballano e suonano la Morna, nostalgica fusione di ritmi africani e Fado portoghese; la Coladeira, più allegro mix afro-brasiliano e il Funanà, genere molto ritmato. La sera Santa Maria è un pullulare di locali, dove si suona live, si balla e i ragazzi dai dreadlocks e i fisici scolpiti si accompagnano alle turiste europee in cerca di compagnia. Ma non sono insistenti e l’atmosfera è rilassata in accordo con il motto dell’arcipelago: no stress.
Da non perdere una serata al Buddy, frequentato dai surfisti, o al Funanà, ristorante che il giovedì sera si trasforma in discoteca. Si gira tranquilli a Sal, ci si sposta in taxi o a piedi. Lo shopping è monopolizzato dai senegalesi che vendono i loro souvenir a discapito dell’artigianato locale. Per trovarlo bisogna andare nel negozio Djunta Mo Art, dove due italiane vendono i prodotti di una quarantina di artigiani sparsi in tutto l’arcipelago e di due cooperative per cercare di salvare antichi saperi, come la tessitura del Pano de Terra, simbolo della cultura capoverdiana, le pipe, i cosmetici a base di aloe, il grogu, distillato della canna da zucchero. “Un lavoro che richiede pazienza– dicono – perché molti artigiani non hanno neppure il telefono e lavorano senza l’idea di vendere”. Il progetto finanzia l’Associazione no profit Nù Bai che sostiene la scolarizzazione dei bambini. A proposito di scuole: da provare un pranzo alla scuola alberghiera ospitata nel mercato ortofrutticolo e frequentata gratuitamente dai ragazzi dell’isola. Con pochi euro si può gustare un’ottima cachupa, stufato di mais e fagioli con carne o pesce, e formaggio di capra con dolce di papaya.
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Articolo pubblicato su Il Giornale ad aprile 2019