Nonostante costituisca l’epicentro del continente sudamericano, si tratta del paese meno noto e meno visitato, schiacciato tra giganti geografici di grande richiamo come Brasile, Bolivia e Argentina e privo di sbocchi al mare. Un vero peccato, perché questa terra sconosciuta e incompresa tagliata in due dal Tropico del Capricorno, cela importanti tesori ambientali, naturalistici e storici, in un contesto di forti contrasti, estremamente povero e sfacciatamente ricco, disseminato di enormi riserve naturali esotiche e imponenti dighe sui suoi grandi fiumi, carretti a fianco di auto di lusso, botteghe artigiane e centri commerciali, e un sito Unesco tra i meno frequentati al mondo; possiede cinque siti Unesco, di cui tre sono parchi nazionali. Il Paraguay, più grande dell’Italia ma con appena 6,5 milioni di abitanti e una delle più basse densità al mondo, si presenta come un bassopiano alluvionale ai piedi delle Ande, solcato da imponenti fiumi; spina dorsale è il Rio Paraguay, affluente del Parana (grande via fluviale che sfocia in Atlantico poco sopra Buenos Aires), che taglia in due il paese: ad est un fertile tavolato produttivo dove si concentra il 97 % della popolazione, ad ovest il Chaco, un’enorme savana arida semidesertica e con aree umide allagate, prolungamento con le stesse caratteristiche ambientali del Pantanal brasiliano, regno della flora (cedri, mogani e palme) e della fauna selvatica (uccelli, serpenti, armadilli, formichieri, capibara e giaguari) subtropicale, ma anche dei grandi allevamenti di bovini, principale alimento di una popolazione all’ 86 % india (pur se meticciata), con i bianchi al 10 %. Indipendente dal 1811, nello stesso secolo ha combattuto una tragica guerra con i vicini, che ne ha ampiamente ridotto i confini e ridotto la popolazione (con ben sei donne per ogni uomo rimasto, vecchi e bambini compresi). Da allora i militari, tra golpe, intrichi e arresti per corruzione, hanno sempre avuto una forte influenza su una debole democrazia.
Ma il Paraguay merita di essere ricordato, e visitato, anche per le missioni gesuitiche installate nel XVII sec., che costituiscono uno dei più interessanti esperimenti di vita comunitaria condotti nel continente americano con gli amerindi, e uno dei rari aspetti positivi del colonialismo nel Nuovo Mondo. A fianco dei conquistadores, militari e civili impegnati ad arraffare ogni possibile risorsa da queste terre, c’erano i religiosi – in particolare i Gesuiti – con l’intento di convertire alla fede questi selvaggi pagani, migliorandone magari il livello di vita quotidiana. Due intenti spesso in palesi contraddizioni, messe bene in risalto nello stupendo e pluripremiato film Mission di Roland Joffè. I Gesuiti si accorsero ben presto di non poter evangelizzare gli indios guarani fintanto che i bianchi li uccidevano, li facevano schiavi e gli sottraevano ogni risorsa, il tutto sotto lo stesso simbolo della croce. Ottennero quindi dal re di Spagna di creare dei villaggi fortificati interdetti ai bianchi dove insegnare agli indigeni, che si sarebbero autogestiti sotto la guida dei frati, la fede, ma anche a produrre di che vivere con agricoltura, allevamento e artigianato, elevandone l’istruzione e il livello sociale. A partire dal 1607 nel Paraguay, ma anche negli stati confinanti, sorsero una sessantina di missioni (reducciones des indios), tutte con identico schema urbanistico, dove trovavano posto chiesa, monastero, scuole, ospedali, ricoveri, magazzini e laboratori, oltre alle abitazioni, dove si parlava e si studiava in lingua guarani, arrivando a coinvolgere circa 100 mila indigeni. Non esisteva la proprietà privata, ognuno doveva dare e ricevere secondo le capacità ed esigenze e nessuno – povero, ammalato, orfano o vedova – veniva lasciato solo. Un concetto di regno utopistico ma pragmatico di giustizia e di uguaglianza teocratico, un mondo di fede pulita e genuina in antitesi alla corrotta e simoniaca chiesa europea, un catto-comunismo ante litteram che influenzerà non poco i filosofi marxisti di tutto il mondo. Ma un esperimento che cozzava contro gli sporchi interessi di negrieri e latifondisti, i veri padroni del Nuovo Mondo. E il tornaconto, purtroppo si sa, trova sempre la maniera per prevalere su tutto. Dopo oltre un secolo di relativi successi, pur se condito dal paternalismo gesuitico (comunque il male minore), lo scioglimento della Compagnia portò nel 1767 al dissolvimento delle missioni sudamericane, con l’uccisione e la schiavitù per gli indios e la confisca dei loro possedimenti. Una delle poche iniziative positive prodotte dalla religione cattolica, sacrificata per il tornaconto di qualche rapace satrapo ispano-portoghese.
L’operatore urbinate “Apatam Viaggi” (tel. 0722 32 94 88. www.apatam.it), specializzato dal 1980
in percorsi culturali a valenza ambientale, etnografica, artistica e storica con accompagnamento qualificato in ogni parte del mondo, propone come novità un tour inedito e originale di 15 giorni alle scoperta delle maggiori caratteristiche naturalistiche del Paraguay, a cominciare dalle suggestive cascate dell’Iguazu, sito Unesco, viste sia sul lato brasiliano che da quello argentino. Clou del viaggio, che inizia con la visita dei principali monumenti di Buenos Aires, sarà comunque la visita dei resti di parecchie missioni gesuitiche, sia in Argentina che in Paraguay, dove diverse chiese costituiscono dei veri capolavori d’arte indigena, non a caso protette dall’Unesco. Suggestiva la partecipazione alla solenne processione del Venerdì Santo a San Ignacio. Unica partenza di gruppo con voli di linea da Roma (e da ogni altro aeroporto) l’ 8 aprile 2017, pernottamento con mezza pensione in hotel a 3 stelle, accompagnatore dall’Italia e guide locali di lingua italiana, assicurazioni, quote da 4.850 euro in doppia tutto incluso.