di Bruno Gambacorta
Si definisce “capitano di lungo corso, viaggiatore e scrittore” Vittorio Russo, persona di grande fascino che ho avuto la fortuna di conoscere sulla “Nave dei libri” che ogni anno, alla fine di aprile, porta per iniziativa dell’editore Sergio Auricchio un bel gruppo di autori e lettori italiani alla grande festa del libro in programma nelle strade di Barcellona il 23 aprile, in onore di san Giorgio. Vittorio ne è un ospite abituale, e qualche anno fa presentò questo libro bello e completo, che riassume la sua attenta e minuziosa esplorazione del subcontinente indiano. Non a caso questo volume è fra i non molti che descrivono due località del Rajastan, meno conosciute di quanto meriterebbero: Mandawa e Ab(h)aneri.
La prima si trova a nordovest di Jaipur. Se quest’ultima è famosa come “la città rosa”, Mandawa è rinomata per gli haveli, case di ricchi mercanti che poco più di un secolo fa le fecero affrescare con motivi tradizionali ma anche con immagini di sorprendente freschezza, che illustravano gli ultimi progressi della tecnica in arrivo dall’ Occidente, come le prime automobili o il grammofono a manovella … La ricchezza di Mandawa derivava dall’essere uno snodo fondamentale delle rotte carovaniere; adesso invece è molto isolata, e per raggiungerla occorrono varie ore su strade improbabili quanto affascinanti.
Nel corso degli ultimi decenni, molti dei mercanti si sono trasferiti e hanno ceduto, abbandonato o nella migliore delle ipotesi affidato a dei custodi queste case, col risultato che gli affreschi sono ormai un pallido ricordo di ciò che erano all’inizio del Novecento. Molti palazzi ricordano la Napoli descritta da Curzio Malaparte ne “La pelle” o le zone più disastrate del centro storico di Palermo, altre sono invece state “restaurate” con colori sgargianti e trasformate in hotel o ristoranti. Un rimedio peggiore del male, insomma, che provoca nel visitatore un effetto straniante che tuttavia non cancella l’antica bellezza del luogo.
A un centinaio di chilometri da Jaipur ma verso est, in direzione di Agra, si trova un’altra località incredibile: Ab(h)aneri. Oggi è un poverissimo villaggio agricolo, fondato (fra il settimo e il nono secolo) probabilmente dal re Raja Chand, che verosimilmente fece costruire un tempio e un gigantesco pozzo a gradini davanti ad esso. Il risultato è una sorta di piramide rovesciata di quasi quattromila gradini su una dozzina di livelli, nella quale si raccoglieva l’acqua che permetteva, tra l’altro, le abluzioni dei fedeli. Anche il tempio è su vari livelli sovrapposti, per consentire di averne sempre una parte disponibile in base al livello più o meno alto dell’acqua raccolta nel pozzo. Il Chand Baori (pozzo di Chand, appunto) è una costruzione quasi unica anche per l’India, e merita assolutamente una visita, così come le rovine dell’adiacente tempio indù di Harshshat Mata, ormai frequentato da caprette e bambini del villaggio, ma ricchissimo di sculture e decorazioni di grande bellezza nonostante gli oltraggi del tempo e dell’incuria.
Due monumenti spettacolari, dunque, ma ancor più bella, seppur poverissima, è la gente del villaggio, dai ragazzini che ti chiedono una … penna alle contadine vestite con spettacolari sari di color giallo zafferano. La vera campagna indiana, dove i carretti trainati da dromedari si difendono dalla concorrenza delle motorette coreane, e anche le bancarelle sfoggiano una cura del particolare e degli accostamenti cromatici da far invidia alle vetrine di via Montenapoleone!
Info: www.indiatourismmilan.com
Il libro di Vittorio Russo pubblicato da Baldini&Castoldi nel 2012.
Articolo pubblicato su travelcarnet.it