Testo e foto di Gisella Motta
Caldo, sole e deserto. A questo si pensa quando si parte per l’Africa. Ma per la prima volta in vita mia vado a sciare nel "Continente nero". Si avete capito bene, a sciare. Certo la cosa vi sembrerà un po’ strana ma fin dall’aereoporto di Malpensa capisco che non lo è poi così tanto. Non sono la sola infatti ad imbarcare gli sci nel reparto "bagagli speciali": almeno una quindicina di giovani, tra cui alcuni alpinisti, spediscono le loro attrezzature da montagna. Si parte. Poco più di tre ore di volo ed eccoci a Marrakech, la città rossa come la chiamano in Marocco per le sue case color mattone. Il nostro hotel, frequentato da alpinisti sciatori, è proprio al centro della città, a due passi dalla grande piazza Djemaa el-Fna, il vero cuore di Marrakech, e dal labirinto del souk dove trascorriamo un pomeriggio perdendoci in contrattazioni e compere.
Ma la nostra meta sono i monti dell’Atalante che già dalle mura di Marrakech il mattino seguente incominciamo a intravvedere. Con un gruppo di sciatori ed altri alpinisti partiamo a bordo di una decina di Toyota 4×4 che formano una moderna carovana nel deserto. Fino a due giorni fa a l’Oukaïmeden, la stazione sciistica più famosa dell’Africa, c’erano sessanta centimentri di neve ma qui in città fa molto caldo e chissà come sarà il manto nevoso lassù. La strada intanto incomincia a salire e a restringersi, ai lati non c’è quasi mai un parapetto e a volte le curve sono proprio a gomito Sembra veramente una delle nostre strade di montagna. Ogni tanto appare qualche abitazione modesta con la biancheria stesa ad asciugare e la gente del posto, appena vede le auto, ci saluta come se fossimo la carovana di un principe. Finalmente arriviamo all’Oukaïmeden dopo un viaggio certamente più avventuroso del previsto: in fondo abbiamo percorso solo 75 km. Fino agli inizi del secolo scorso questo luogo era frequentato solo in estate dai pastori berberi che raggiungevano i pascoli alti con montoni e capre. Ma nel 1937 i militari francesi costruirono una caserma, dando inizio ad un lento sviluppo della zona anche nel periodo invernale. Così nel 1957 nasce lo sci club di Marrakech fondato da sciatori francesi e marocchini. Oggi ha sessantadue anni Mohamed Benanni , il primo maestro di sci marocchino che dal 1967 insegna qui ai bambini durante i periodi di vacanza. Un’immenso pianoro attraversato da un torrente si apre proprio di fronte al nostro hotel, il Club Louka, una costruzione in stile anni cinquanta a forma di piramide). Di neve in terra non ce n’è quasi più, sembra arrivato il disgelo, speriamo di trovarla almeno sulle piste. L’indomani il tempo è ancora incerto, due centimetri di neve sono caduti nella notte tanto da rendere il pargheggio tutto bianco. A 400 metri dall’hotel in un botteghino si affittano sci neanche tanto vecchi mentre alcuni montanari si avvicinano a noi per offrirci un particolare servizio navetta a bordo dei loro asinelli fino alla seggiovia, una dopplemayr che è stata restaurata nel 2004 e che sale sino a 3.250 metri di altezza. Paghiamo chi venti, chi trenta e fino a cento diram per il trasporto, a seconda dell’abilità nel contrattare perchè si sà, in Marocco si usa così… Una vecchia insegna ci mostra le piste. Finalmente inforchiamo i nostri sci e incominciamo a salire con la seggiovia a due posti. Dopo 3-4 minuti c’è la stazione intermedia. Chi lo desidera deve scendere al volo perchè non sono impianti a sganciamento e quindi non rallentano mai. E finalmente a quota 3.250 il nostro sguardo cattura il contrasto che c’è tra la bianca neve e lo sfondo marrone del deserto.Tutti ovviamente a fotografare la meravigliosa veduta che ci sta attorno. La neve compatta ci invita a discendere un leggero pendio che immette nel "muro" principale della nostra pista. Laggì in fondo, all’arrivo delle piste, il villaggio berbero sembra un ammasso di casette vicine tra loro con i tetti piatti appena imbiancati dall’ultima spolverata di neve. Ci lanciamo in qualche serpentina facendo scrocchiare la neve sotto i nostri sci. Che bella sensazione! Stiamo sciando per davvero e non ci parrebbe neppure di essere in Africa se non fosse per la distesa del deserto che occupa tutto lo spazio all’orizzonte o per la pelle scura di Mohammad che ci fa scendere a valle. Ad un certo punto sulla nostra sinistra appare qualcosa di familiare, uno vecchio skilift di quelli a molla, di quelli di una volta dove la partenza è a mo’ di Tarzan sulla liana; più a sinistra ancora altre due piste stile baby che ormai non hanno più l’impianto di risalita e i ragazzi marocchini il giorno di festa le affrontano con il bob. Sta ricominciando a nevicare, alla fine della discesa ci concediamo una breve pausa con panino sotto la tenda berbera e poi di nuovo a rifugiarci in albergo: fa freddo e nessun ha più voglia di sciare. Ma verso le tre del pomeriggio ecco ritornare il bel tempo e l’ultima neve caduta si scioglie in un batter d’occhio, potenza del sole d’Africa che tutto riscalda, anche a 2.680 metri di quota. E allora tutti fuori ad ammirare il paesaggio che di nuovo si colora del rosso delle rocce antiche che gioca ancora in contrasto con qualche chiazza di neve; il vento che soffia teso cancella ogni pozza e ogni rigagnolo di disgelo: è lui il vero padrone di questa montagna, l’Oukaïmeden che in lingua berbera significa anche "il crocevia dei venti".
Estratto dall’articolo pubblicato su SCI- Ottobre 2010
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