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martedì, Settembre 10, 2024

Cina. Hunan, l’«origine» del pianeta Pandora

di Nicoletta Martelletto

Alla scoperta di un angolo della nazione dei record: dai pinnacoli di Wulingyuan immortalati da «Avatar» agli 8 chilometri della Grotta del Dragone Giallo

Una Cina, tante Cina. Ogni provincia di questo enorme Paese grande poco meno dell’intera Europa batte all’unisono ma con un tocco proprio, legato alla natura, alle tradizioni, alla latitudine. Non c’è modo di fare sintesi se non quella dei numeri: 1 miliardo e 400 mila abitanti, 56 etnie diverse, con una dominante, la Han, che comprende il 92 per cento della popolazione. C’è però un luogo dove la storia millenaria e le contraddizioni della Cina che marcia superveloce si toccano con mano. E per questo va visitato.

É la provincia dello Hunan, che significa «terra al sud del lago». Il grande lago è il Dongting, frutto delle anse del fiume Yangtze. Raggruppa 70 milioni di abitanti, una vocazione agricola molto radicata e un futuro industriale al galoppo. Il capoluogo Changsha, sei milioni di residenti, negli ultimi vent’anni ha subìto una trasformazione radicale: chilometri di grattacieli dove prima si moltiplicavano le risaie, che pure garantiscono il 15 per cento della produzione nazionale. Una città moderna, dotata di aeroporto internazionale e stazione di treni a 300 km orari, che coesistono col riso asciugato sulle rotatorie e le donne che lavano i panni nei torrenti.

Lo Hunan ha una forte attrattività turistica interna: sono milioni i cinesi che ogni anno arrivano qui nel villaggio di Shaostan, dove nacque nel 1893 da una famiglia di agricoltori Mao Zedong, il padre della patria. Studiò a Changsha e qui si affacciò al partito comunista. Sempre qui nel 1927 guidò la rivolta del raccolto autunnale, per un soffio non finì sul patibolo.

Ma non è nostalgia quella che oggi convoglia i turisti nello Hunan: appena fuori Changsha nel 1992 è stata trovata la mummia di una donna di 2 mila anni fa con un corredo funerario di 3 mila oggetti, pezzo forte del Museo archeologico.

Non lontano da Changde, altra città strategica, c’è la grande attrazione di Zhangjiajie, col complesso di Wulingyuan, 3 mila picchi di arenaria e quarzite divenuti parco geologico e patrimonio Unesco dal 1992. La popolarità definitiva gliel’ha data il film «Avatar», che nel 2009 ha reso famosi i pinnacoli mettendoli sullo sfondo del pianeta Pandora e attirando qui fino a 100 mila visitatori al giorno lungo i sentieri percorribili a piedi, salendo in quota con un ascensore che in pochi secondi copre 326 metri di dislivello. Spettacolare è anche il vicino lago Baofeng, ad est del parco, formato da una diga e percorribile con piccoli battelli che sostano dove i figuranti dell’etnia Tujia fanno ascoltare i loro canti d’amore. Un’altra manciata di chilometri e alla Grotta del Dragone Giallo, scoperta solo nel 1983, si cammina per 8 chilometri nel ventre della terra, tra stalattiti e stalagmiti di proporzioni colossali, la più alta di 20 metri.

Il mondo dell’arte e dello spettacolo sono un altro punto rivelatore: ad esempio nei musical moderni che ripercorrono le antiche leggende, come quella della Volpe Divina, dove ogni sera per tutto l’anno in un anfiteatro naturale a Zhangjiajie City si rivive – in un tripudio di effetti speciali – l’amore impossibile tra il cacciatore e la donna-volpe.

Tre ore e mezza d’auto e si arriva all’antico villaggio settecentesco di Fenghuang, ancora cinto di mura. Circondato dal Tuo Jiang river, attira i turisti che affittano le corone d’argento e i colorati abiti del gruppo etnico Miao per farsi fotografare. Le lastre di pietra dei vicoli sono consumate, il flusso dei passanti porta alla casa dello scrittore Shen Congwen, a quella dell’artista Lei Yu Tian, ai locali che la sera si animano di karaoke e discomusic.

Una sorpresa continua lo Hunan, che ha anche una Grape Valley: produce vino rosso da vitigni con le spine.

999 scalini per arrivare

alla «Porta del Cielo»

A sud di Zhangjiajie, dalla stazione ferroviaria della città parte una funivia costruita dai francesi, lunga 7 chilometri e mezzo, che in circa mezz’ora copre un dislivello di 1279 metri e porta il pubblico sul monte Tianmen.

L’alternativa è una strada di 10 chilometri con 99 tornanti fino ai piedi della Porta del Cielo: si tratta di un luogo intriso di spiritualità, come confermano gli altari buddisti su entrambi i lati e i nastri rossi anti-malocchio.

Il crollo di una caverna ha dato origine ad una finestra naturale nella roccia, alta 131 metri, che si erge sopra la scalinata di 999 gradini – la numerologia accompagna ogni gesto del popolo cinese – da salire o scendere a piedi. In alternativa un articolato sistema di scale mobili collega la Porta del Cielo con i parcheggi, o la stessa Porta con i sentieri della montagna. Alcuni di questi sono intervallati da camminamenti su vetro, con affaccio su strapiombi. C’è anche un percorso di 1,6 km addossato alle pareti verticali che termina con un ponte sospeso tra due cime.

La fatica che si fa per raggiungere la Porta del Cielo viene largamente ricompensata dalla vista spettacolare, una volta arrivati a destinazione: un tempio buddista di 550 anni fa e il meraviglioso arco di roccia naturale, profondo 70 metri e largo 30, che, secondo i cinesi, sarebbe l’ingresso per il Paradiso.

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