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I sapori del freddo a spasso tra le Dolomiti bellunesi

Belluno, 16 gennaio 2018 –  La cucina bellunese ancora oggi è debitrice dei gusti semplici della tradizione, soprattutto durante i mesi più freddi. Ai piedi delle Dolomiti, in queste valli magnifiche ma molto difficili, la tavola era un tempo questione di pura sopravvivenza. L’alimentazione quotidiana dipendeva da quanto si riusciva a ricavare dalla terra e dal bestiame: quindi granoturco, fagioli, formaggi, cereali, patate e carne conservata nel basso Bellunese. Nelle vallate dolomitiche più in alto il mais cresceva con difficoltà, per cui si coltivavano in misura maggiore fave, patate, frumento, orzo, segale, ed era un po’ più diffuso l’uso della carne. L’agricoltura a queste quote era agricoltura di sussistenza e solo poche volte all’anno si mangiavano i piatti delle feste.

Vi proponiamo allora un viaggio in cinque tappe alla scoperta dei piatti tradizionali assolutamente da provare, se vi trovate a trascorrere una parte d’inverno sulle Dolomiti Bellunesi.

1) Polenta e pastin

La polenta era onnipresente, sulle tavole del Bellunese dei secoli scorsi. Si mangiava anche a colazione, assieme al latte: era come il pane. In tempi di magra, si mangiava solo polenta per giorni e giorni. I contadini addirittura si ammalavano – di pellagra (il mal della miseria) – a furia di mangiare sempre e solo polenta di farina gialla.

Quella che un tempo era una scelta necessaria, oggi è invece una gioia: ogni pasto davvero bellunese prevede di secondo polenta e qualcos’altro – carne o formaggio, verdure, baccalà… Recentemente è stata reintrodotta da alcuni agricoltori la produzione della varietà di granoturco mais sponcio, e la polenta sponcia (“sponcio” vuol dire “a punta”, perché i chicchi di questo tipo di mais sono puntuti), color dell’ambra, dal sapore più intenso, si mangia oggi soprattutto nelle zone ai piedi del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Nelle vallate più in alto, la polenta è spesso preparata con farine miste, integrali, ed ha un colore più sporco, con pagliuzze scure sulla pasta giallo cupo.

Insieme alla polenta, potrete senz’altro scegliere tra formaggio fuso o alla piastra, cacciagione, gulash, musetto, spezzatino… Noi però vi suggeriamo senza dubbio alcuno di accompagnarla con un bel pezzetto di pastin, un macinato artigianale di carni di maiale, manzo e lardo, aromatizzato con un insieme di spezie e cotto alla griglia. Il pastin è il re di tutte le sagre della provincia, ma si può mangiare anche comodamente seduti al ristorante.

Dove? Per gustare un piatto di polenta e pastin fatto come si deve, vi mandiamo all’Insonnia, a Forno di Zoldo. All’Insonnia il menu è sempre e solo quello: polenta integrale, cappucci, fagioli, pastin, spezzatino, cotechino, formaggio fritto. Il menu è sempre lo stesso, da quarant’anni, ed è ormai praticamente perfetto, in tutte le sue componenti, che vengono servite all’infinito, o meglio, fino a quando uno ne è completamente sopraffatto.

2) Gnocchi di zucca

Gli gnocchi – di patate o di zucca nel periodo invernale – sono un altro dei piatti immancabili, sulle tavole ai piedi delle Dolomiti Bellunesi. La zucca più presente negli orti della Valbelluna è la zucca santa, rotonda e un po’ schiacciata, dalla buccia verde e bitorzoluta. La zucca santa è perfetta per preparare gnocchi dal colore giallo-arancio intenso, conditi con burro fuso, salvia e semi di papavero. A fine settembre a Caorera – nel basso Bellunese, scendendo lungo la Piave verso Montebelluna – si festeggia addirittura una sagra della zucca santa, durante la quale si possono assaggiare tantissimi piatti diversi preparati con questo ortaggio autunnale: dai dolci al pane, dai sughi ai pasticci, e poi risotti, zuppe, gnocchi, canederli… La zucca in cucina è stata una riscoperta, perché poco più di vent’anni fa la sua coltivazione si era ormai persa, come consuetudine, e le zucche si utilizzavano ormai solo come alimento per le bestie. Oggi non c’è ristorante che non preveda nel menu almeno un piatto a base di zucca.

Dove? Come per la polenta, anche per la zucca non c’è che l’imbarazzo della scelta, tra i ristoranti della provincia. Suggeriamo però di scendere a Vas, quasi nel Trevisano, per mangiare alla Locanda Solagna . La Locanda è un bellissimo ristorantino molto curato, che propone piatti della tradizione preparati con prodotti d’eccellenza (e presìdi Slow Food) e vi catapulta con garbo indietro nel tempo.

3) Pendolon

I Bellunesi mangiavano poca carne, ma integravano la loro scarna dieta con le proteine dei fagioli, che erano e sono di diverse qualità, la migliore delle quali, dalla scorza tenera e sottile, veniva coltivata nel Feltrino. Oggi il paese del fagiolo è Lamon, che ogni anno a fine settembre organizza una festa a base di legumi. Il fagiolo di Lamon IGP è piccolo, tondeggiante, bianco-rosato con striature di porpora, ed è universalmente conosciuto come la migliore qualità del fagiolo Borlotto, da gustare sia in minestra, sia in insalata. Questo fagiolo fu importato all’inizio del Cinquecento dall’umanista bellunese Piero Valeriano, che lo aveva ricevuto in dono da Papa Clemente VII a cui a sua volta era stato regalato dal re di Spagna come novità americana. Tra i piatti della tradizione locale assolutamente da provare ci sono la minestra di fagioli alla lamonese, i fagioli in insalata e la pasta e fasoi, oltre al pendolon.

Dove? Il pendolon è un piatto da pastori: un impasto a base di patate carne schiacciate, farina di frumento, fagioli bolliti che veniva avvolto in uno strofinaccio e conservato in una manica della giacca dei pastori, che se ne andavano perciò in giro con il pasto a penzoloni… Per mangiare il pendolon della tradizione, salite da Lamon in località Le Ei, fino al ristorante albergo al Tajol: qui il pendolon si serve accompagnato con carne di pecora affumicata.

4) Risotto al Piave

Tradizionalmente, buona parte dell’alimentazione locale dipendeva dal latte e dai suoi derivati: burro, ricotta, formaggi… Le montagne d’estate accoglievano le bestie in alpeggio, ed erano – e sono – disseminate di malghe e casere dove si produceva formaggio. In molti paesi, dalla fine dell’Ottocento in poi, sono sorte latterie cooperative dove ogni famiglia poteva conferire il latte della propria mucca: soprattutto nelle vallate più in alto, tutte le famiglie avevano almeno una vacca da latte di proprietà. In Valbelluna invece era diffusa la mezzadria, e i contadini dovevano rendere conto al padrone dell’uso che facevano del latte: ne consumavano senza dubbio meno dei bellunesi delle terre alte.

Oggi la tradizione dei latticini continua, rinnovata: da qualche anno le piccole latterie di paese hanno ripreso a lavorare molto bene – da provare i formaggi di Tisoi e Camolino, Sedico e Frontin – e alcuni dei prodotti caseari della zona sono ormai conosciuti anche fuori provincia. Tra questi, c’è il formaggio Piave DOP (fresco, mezzano o vecchio) di Lattebusche. Tutelato dal marchio DOP delle eccellenze agroalimentari europee, il Piave è un formaggio più o meno stagionato, utilizzato come formaggio da tavola o come ingrediente base di ricette tradizionali (tipo il formai frit).

Dove? Il formaggio Piave si acquista in qualunque negozio e supermercato delle Dolomiti Bellunesi, oppure al Bar Bianco di Lattebusche, tra Belluno e Feltre, ed è spesso utilizzato in alcuni piatti proposti dai ristoranti del territorio. Per il suo sapore deciso, è l’ideale per preparare risotti. Alla trattoria Ciliotta da Lolli, a Gaion di Limana, poco lontano dal capoluogo di Provincia, fanno uno dei migliori risotti al Piave vecchio della zona, davvero squisito.

5) Castagne e vin

Infine, le castagne. Che per secoli sono state una delle principali fonti di nutrimento per la popolazione locale, in particolare della zona del Feltrino. Il Feltrino è un’area di pendii dolci ai piedi delle Dolomiti, poco più su delle Prealpi, sulla destra orografica del fiume Piave, che da sempre, fin dagli insediamenti di epoca romana, si è rivelata una zona particolarmente adatta alla castanicoltura. Ancora oggi le campagne di Feltre, Pedavena, Seren del Grappa sono disseminate di splendidi castagni – vale la pena lasciare la macchina e perlustrare i boschi e i colli a piedi, lasciando vagare lo sguardo sulle aguzze vette che danno il benvenuto nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Da più di vent’anni esiste un Consorzio di tutela del morone e  del castagno del Feltrino. Il morone è una castagna dalla faccia piatta e dalla buccia sottile, dalla polpa bianca, di pasta dolce e compatta, perfetta per preparare piatti tradizionali (la minestra di marroni) o per essere sgusciato e sbucciato una volta arrostito o lessato.

Dove? La cornice ideale per mangiare le castagne – e le castagne col vino rosso – non è tanto il ristorante, quanto piuttosto una delle molte sagre all’aperto che si organizzano in tutta la Valbelluna durante l’autunno e all’inizio dell’inverno. La minestra di marroni è squisita, ma non c’è niente di meglio che sbucciare castagne calde direttamente dal cartoccio, per combattere l’aria frizzante dei pomeriggi autunnali.

 

 

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