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giovedì, Aprile 18, 2024

Cina Fascino e mistero dei millenari «tolou» le case-fortezza circolari

Nella parte rurale della provincia meridionale del Fujian, l’Unesco tutela dal 2008 queste grandi costruzioni a pianta tonda capaci di ospitare comodamente oltre 100 contadini del «popolo Hakka»

Imponenti, massicci, in maggioranza circolari; costruiti un millennio fa e abitati ancora oggi da decine di famiglie riunite in una sorta di clan con più di 100 contadini. Unici.

Sono i «tolou», le case-fortezza avvolte da un fascino di mistero che si raggiungono inoltrandosi per un paio d’ore d’auto da Xiamen, nella parte interna e rurale del Fujian, la provincia meridionale della Cina.

Tre piani e più fuori terra, con finestre solo dal secondo piano, due ingressi contrapposti ed una complessa serie di logge interne, tutte realizzate attorno ad un cortile centrale aperto. Una costruzione tonda, circolare ,con un tetto a doppia falda e sistemi di gestione delle acque piovane; con spazi de- stinati alla vita comune ed altri riserva- ti alla famiglia, i luoghi della preghiera e della scuola, le cucine a piano terra e le camere ai piani più alti.

A realizzarle, in molti casi più di dieci secoli fa, e ad abitarle ancora oggi è il «popolo Hakka», non un’etnia specifica tra le tante cinesi, bensì un gruppo di contadini di etnia Han che alla fine del primo millennio decisero di lasciare la terra d’origine nella Cina centrale per emigrare al sud in cerca di terre fertili e stabilirsi proprio nelle province del Guangdong e del Fujian. Da lì in molti hanno poi proseguito verso altri lidi, cosicché ci sono comunità Hakka in tutti i Paesi raggiunti dalle ricorrenti migrazioni cinesi.

Per quale motivo abbiano scelto di costruire le loro case in questa forma assolutamente unica è proprio uno dei misteri che avvolge la storia di questo po- polo, così come desta sorpresa soprattutto tra gli occidentali la perfetta conservazione e l’assoluta efficienza di queste costruzioni e di queste comunità, che continuano oggi a mostrare un lato rurale antichissimo della Cina. E se per il mantenimento della struttura edilizia qualche risposta gli storici cinesi la offrono – da un millennio praticamente ogni anno le parti danneggiate del tolou vengono infatti ricostruite sullo schema originale dagli stessi abitanti della casa – la permanenza del modello sociale, impermeabile al cambiamento, lascia inevase molte domande. Il turismo internazionale sta cominciando a scoprire solo adesso questo mondo, rimasto per un millennio appartato e uguale a se stesso. Ed è così possibi- le, anche per uno straniero senza troppe pretese di comfort, passare qualche giorno dentro un monumento vivente qual è il tolou. Con pochi euro infatti si affittano camere, si visitano ap- partamenti e c’è sempre qualcuno disposto a preparare il pranzo per l’ospite. Si vive così per qualche giorno la vita fuoritempo, tra campo e fortezza, del popolo Hakka.

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La curiosità: meno di 50 anni fa un satellite spia americano ha svelato al mondo una meraviglia sconosciuta
Le prime notizie sulle grandi costruzioni circolari del Fujian, i tolou ovvero le case-fortezza costruite oltre dieci secoli fa dal «popolo Hakka», sono arrivate in Occidente in maniera rocambolesca e curiosissima.

Negli anni Settanta, quando la distensione tra i blocchi faticava a muovere i primi passi, un satellite spia americano fotografò infatti dall’alto quelle che apparivano come grandi bocche circolari, realizzate in un’area assolutamente periferica e rurale della Cina del Sud. E al Pentagono non mancò chi vide in queste costruzioni il pericolo di sconosciute rampe missilistiche o di chissà quale altra arma segreta.

Non senza difficoltà, vista la chiusura totale della Cina di quegli anni, si riuscì a mandare un agente nel Fujian con la precisa missione di scoprire quale minaccia si celasse dietro quelle incredibili costruzioni. E tutti emisero un sospiro di sollievo leggendo la relazione «top-secret» che parlava di costruzioni rurali, abitate da contadini riuniti in una forma associata specifica, simile ad una cooperativa o ad un antico clan, con gerarchie chiare ed una organizzazione agricola efficiente.

Da allora, a mano a mano che il «pianeta Cina» si è aperto ai commerci ed a traffici internazionale, questo luogo affascinante ed unico ha vi- sto crescere l’interesse culturale e turistico attorno al «popolo Hakka» ed alle sue strane, vaste costruzioni.

Una lenta emersione alla quale ha dato un contributo decisivo l’Unesco, che nel 2008 ha riconosciuto il valore di questo sito appartato e a quel tempo assolutamente poco frequentato dai viaggiatori occidentali, facendolo entrare nel novero degli ambienti da tutelare perché patrimonio dell’umanità.

La scheda

L’occidentale che vuol visitare la vallata dei tolou non può giungervi con un’auto noleggiata a Xiamen poiché per guidarla occorre una patente cinese rilasciata dopo un corso di alcune ore ed un esame.

Ci si può affidare pertanto ai trasporti locali, non agevolissimi, o meglio a guide locali: a Xiamen non mancano, anche se non moltissime parlano inglese

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L’isola Gulangyu l’antico feudo coloniale dove regna incontrastato il pianoforte

Un’isola di pace, senz’auto, biciclet- te e motorini, dove ogni giorno migliaia di turisti cinesi passeggiano rilassati o al più si fanno portare in giro da pulmini elettrici. È Gulangyu, separata dal cuore di Xiamen da uno stretto braccio di mare, un territorio con una storia peculiare ed un presente di grande interesse. Serve ricordare infatti che nel 1842, al termine della Prima guerra dell’oppio che vide la Cina sconfitta dagli inglesi, la vecchia città imperiale di Amoy (l’attuale Xiamen) divenne uno dei cinque territori con altret- tanti porti concessi quale base commer- ciale alle varie potenze coloniali.

Iniziò in quegli anni un rapidissimo sviluppo dell’area, mentre in diverse zone della città e delle isole che compongono il pic- colo arcipelago di fronte a Taiwan nasce- vano interi quartieri francesi e inglesi, te- deschi e olandesi.

In particolare sull’isoletta di Gulangyu si insediarono una serie di consolati e dele- gazioni commerciali che realizzarono splendide ville nello stile ottocentesco del loro Paese d’origine. Il risultato che ancora oggi si apprezza in tutta la sua magnificenza è un contrasto di stili multiforme, con la prevalenza dell’impronta vittoriana e una generale atmosfera europea. Grandi dimore circondate da estesi giardini, spesso ricche di essenze arbo- ree importate, muri in mattoni rossi a segnare le diverse proprietà e cancelli in fer- ro battuto a difenderne gli ingressi. Come non bastasse questa caratteristica, Gulangyu è l’unica isola pedonale cinese e da decenni il luogo scelto da centi- naia di coppie di giovani sposi per le fotografie del loro matrimonio (un rito che da queste parti può durare giorni, tra prove e scatti veri e propri, spesso con un contor- no di decine di amici e parenti).

Zona turistica per eccellenza, almeno dal punto di vista dei cinesi di ogni età, l’isola vanta un’altra attrattiva singolare dovuta all’iniziativa d’un figlio di questa terra che tra Ottocento e Novecento aveva fatto fortuna in Australia. Ricco e con qualche acciacco di troppo, decise di tornare in patria e di stabilirsi in una grande villa affacciata sul mare nella zona orientale di Gulangyu, trasferendovi gradualmente tutta la sua mirabile collezione di circa duecento pianoforti. Che alla sua morte è diventata un museo interamente dedica- to allo strumento musicale principe. Anche per questa ragione Gualangyu è conosciuta pure come l’isola della musi- ca o, meglio, l’isola del pianoforte. Arrivarci è insieme semplice e complesso. Il tratto di mare è infatti attraversato da battelli che partono ogni giorno a intervalli di mezz’ora dalle 5 a mezzanotte; il viaggio non è lungo (pochi minuti dal vecchio imbarcadero, mezz’ora dal nuovo av- veniristico porto dei ferry). Ma il problema è trovare posto, perché ad ogni ora e in ogni stagione dell’anno l’afflusso di turisti cinesi è massiccio. La coda è di prammatica e l’assalto al battello ricorda il mo- mento dell’apertura delle porte di Harrods a Londra il primo giorno dei saldi. Ma la meta ripaga ampiamente della fatica. Anche perché al di là delle dimore e dei monumenti, dei giardini e dei musei (non c’è solo quello del pianoforte!) nelle stradine del centro pulsa una autentica movida con chioschi, ristorantini e locali d’ogni genere che offrono l’opportunità di gustare i piatti ed i dolci di una cucina autenticamente xiamenese.

testo di Gianfranco Bertoli – Il Giornale di Brescia 11 dicembre 2014

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